venerdì, aprile 20, 2012

Recensione CD "Tango che ho visto ballare..." di Claudia Pastorino


Claudia Pastorino: “Tango che ho visto ballare …”
Il tango secondo Claudia, unico, inimitabile
di Fabio Antonelli

Il 4 luglio del 1992 si spegneva a Buenos Aires Astor Piazzolla, virtuoso del bandoneon, ma soprattutto compositore eccelso capace di trasformare ciò che per gli argentini è da sempre considerato intoccabile e immutabile nel tempo, il tango.

Introducendo elementi jazz, dissonanze, l’uso di strumentazione non appartenente al tango tradizionale come ad esempio l’organo hammond tanto per citarne uno, ha saputo riscrivere la storia del tango cercando nello stesso tempo di cambiare anche la storia del proprio paese e, per questo, personaggio più amato all’estero che non in patria (“Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria e in casa sua” Mt 13, 57).

Come poteva quindi, una cantante piena di personalità, radicale e intransigente, provocante e anche provocatoria (ricordo che nel 1999 sulla copertina di “Trent’anni”, suo terzo disco, si fece fotografare crocefissa esibendo uno scultoreo topless) come Claudia Pastorino non restarne affascinata?

Così, per ricordare il ventennale della morte di questo grande artista, Claudia ha voluto pubblicare su disco la registrazione di un suo spettacolo dal vivo tenutosi il 24 settembre del 2011 al St. Anna Golf Club di Cogoleto Lerca, una delle tante date del suo tour dedicato al repertorio di tango composto da Horacio Ferrer e Astor Piazzolla, cominciato nel 2009 e che più volte l’ha vista cantare al fianco dello stesso Horacio e che ora, immagino, sarà rinvigorito dall’uscita di questa testimonianza live.

In questa registrazione Claudia è accompagnata da due ottimi musicisti, Fabio Vernizzi al pianoforte e Patrizia Merciari alla fisarmonica, secondo la tradizione più recente del tango che, alle origini, pensate un po’ era affidato al flauto, solo nel ‘900, infatti, il flauto fu sostituito dal bandoneon. Il pianoforte, invece, arrivò molto dopo, ma se ascolterete questo disco, capirete come l’avvento di questi due strumenti abbia fatto la fortuna di questa musica.

“che la rumba sia soltanto un’allegria del tango”

Così cantava Paolo Conte in “Dancing” e a ragion veduta, per cui specularmente si potrebbe dire che “il tango sia soltanto una tristezza della rumba”.

Forse è proprio così, perché il tango non è solo sensualità e gioco di sguardi (il titolo stesso del disco è in fondo legato all’atto del guardare), è soprattutto pathos, dolore, morte. In fondo potremmo dire, senza pericolo d’essere smentiti, che il tango è rappresentazione viva della vita stessa con tutti gli elementi che la caratterizzano.

Il disco si apre con “La ballata per un folle”, forse il brano più celebre dell’accoppiata Astor Piazzolla e Horacio Ferrer, sospeso tra recitato e canto appassionato, c’è restituito con grande intensità da Claudia. La storia è quella dell’incontro tra una donna e un “pazzo” che, con la sua energia creativa, si fa breccia nel suo cuore instillandole un infinito desiderio di libertà “Folle folle folle come un acrobata demente salirò dentro l’abisso del tuo cuore fino a che io sentirò che impazzirà di libertà!”.

Vivere però, vuol dire fare i conti anche con la morte, “Balada para mi muerte” è un bellissimo, tragico sguardo, rivolto a questo inevitabile momento “Abbracciami forte perché sento che la morte sta gremendo ciò che amo più di me / Sta passando non è niente si fa giorno sei con me”. Qualcosa sta per finire (l’esistenza) ma qualcos’altro sta per cominciare (un nuovo giorno). In questo continuo oscillare tra pathos e speranza, mi sembra quasi di vedere Claudia cantarla.

Ancora la morte, in fondo, è la protagonista finale di “El titere” (Il bullo), un testo di Jorge Luis Borges musicato da Piazzolla, che ci racconta di un ballerino e giocatore, un bullo amato da belle mulatte e che “Uno sparo lo abbatté fra Thames e Triumvirato”. Perfetta.

Ancor più bella e intensa, questo disco si rivela un crescendo di emozioni, è l’interpretazione che Claudia ci dona di “Vamos Nina”, un tragico testo di Ferrer permeato di romantica brutalità. C’è letteralmente buttata in faccia la crudeltà della vita o meglio della morte “Non vergognarti, Nina, no. / Cosa vuoi che ne sappia di vergogna, quell’anima di barista / che ti ha preso a calci e sputi? / accarezza il tuo cane / e diglielo, che solamente tra i rifiuti / hai trovato una spalla amica per morire”.

“Alguien le dice al tango”, il cui testo è di Jorge Luis Borges, è dominato dagli sguardi “Tango che ho visto ballare contro un crepuscolo giallo / da chi faceva faville nella danza e nel coltello … Senza vergogna, spigliato guardavi in faccia e fiero / tango che fosti la gioia di essere uomo per davvero”, anche se è ancora la morte a far nuovamente capolino “La morte prenderà / tu costeggerai la vita, Buenos Aires!”.

E’ invece un’indomabile speranza a dominare “Preludio para el ano 3001”, la canzone è sorretta dalla sola fisarmonica che sembra respirare e pulsare come un cuore e da versi densi di visionaria speranza “Tu vedrai che rinasco nell'anno 3001 / e con gente che non c'è stata ma che allora ci sarà / benediremo la terra, terra nostra... e te lo giuro / che questo paese di nuovo e insieme si fonderà. /  Rinascerò! Rinascerò! Rinascerò!”.

Un po’ di tranquillità sembra quasi giungere dalla melanconica “La fortezza dei grandi perché” in cui pianoforte e fisarmonica sembrano fondersi placidi e assorti, ma è solo una calma apparente, anche qui l’amore non ha mai pace “E mio padre era un grande pilota / che un bel giorno volò dentro il blu, / e mia madre parlava di un viaggio / per tornare accanto a lui”. E’ proprio la vita, con i suoi amari risvolti.

“Libertango” è così famosa da non dovervi aggiungere nulla se non che Claudia riesce davvero a superarsi nel cantarla, emozionando, restando entro le righe proprio quando ci sarebbe potuto essere il rischio di lasciarsi prendere la mano e strafare.

Che emozione poi “Oblivion”, brano che pur senza parole sembra comunicare più di tutte le altre canzoni, nell’ascolto una grande malinconia nota dopo nota ci avvolge e ci avvinghia.

Vien voglia di non abbandonare più questo viaggio nel tango e anche il pubblico sembra pensarla così, invocando un bis.

Claudia lo accontenta, cantando nuovamente la canzone d’apertura ma volutamente non tradotta quasi a voler lasciare integro il brano nella sua cristallina bellezza, la malinconia non ci abbandona certo e il desiderio sarebbe di continuare a sentire cantare Claudia all’infinito.

Il disco è un omaggio emozionante al genio di Astor Piazzolla, Claudia Pastorino si conferma ancora una volta artista di grande personalità, sentirla cantare in questo repertorio è inevitabile accostarla a Milva ma personalmente la trovo molto meno enfatica, più vera, a tratti poi mi ricorda anche il conterraneo Max Manfredi al quale la accosterei certamente per sensibilità e unicità.


Claudia Pastorino
Tango che ho visto ballare …

Produzione Elegantia Doctrinae - 2012

Nei migliori negozi di dischi o scrivendo a info@elegantiadoctrinae.it

Tracklist
01. La ballata per un folle (Astor Piazzolla, Horacio Ferrer)
02. Balada para mi muerte (Astor Piazzolla, Horacio Ferrer)
03. El titere (Astor Piazzolla, Jorge Luis Borges)
04. Vamos Nina (Astor Piazzolla, Horacio Ferrer)
05. Alguien le dice al tango (Astor Piazzolla, Jorge Luis Borges)
06. Preludio para el ano 30001, rinascerò (Astor Piazzolla, Horacio Ferrer)
07. La fortezza dei grandi perché (Astor Piazzolla, Angela D.Tarenzi/Simonluca)
08. Milonga de Don Nicanor Paredes (Astor Piazzolla, Jorge Luis Borges)
09. Libertango (Astor Piazzolla, N.Delon/B.Reynolds/D.Wilkey)
10. Oblivion (Astor Piazzolla)
11. Balada para un loco (Astor Piazzolla, Horacio Ferrer)

Crediti
Claudia Pastorino: voce
Fabio Vernizzi: pianoforte
Patrizia Merciari: fisarmonica

Registrato dal vivo il 24 settembre 2011 al St. Anna Golf Club di Cogoleto Lerca (GE)

Fotografie: Valeria Danzi (www.voltaroweb.it)

Grafica: Marco Vimercali

Sito ufficiale di Claudia Pastorino: www.claudiapastorino.it
Claudia Pastorino su MySpace: http://www.myspace.com/claudiapastorino

mercoledì, aprile 18, 2012

Incontro con Marco Ongaro - tratto da "Noir & Song" rubrica di Musica e Parole di Orasenzombra

di Fabio Antonelli



Il primo appuntamento di questa nuova rubrica che nasce con l'intento di cogliere i legami, più o meno evidenti, tra la canzone d'autore e il genere noir è con il veronese Marco Ongaro, classe 1956, un artista che definire semplicemente cantautore sarebbe davvero oltraggioso, perché oltre a scrivere splendide canzoni per se e per altri (Grazia De Marchi, Giuliana Bergamaschi, Vittorio De Scalzi, ecc.), si è dedicato con successo ai più svariati campi della scrittura. Sia nel campo dell'opera lirica che in quello teatrale, così come in quello letterario e musicale. Sin dalle sue prime canzoni Ongaro ha sempre dimostrato una scrittura fluida e ricca che, a volte, suggerisce l'idea di un fiume in piena pronto a straripare, ma tutto è sempre sotto controllo e a tratti c'è come un gioco sottile di contraddizioni e di volute ambiguità, il desiderio di intorbidire le acque di questo fiume, in modo che non tutto sia così scontato e di facile interpretazione, un po' com'è uso nella scrittura noir.
Ecco cosa ci ha raccontato in merito a questo suo rapporto con il genere noir.

"Salvatore delle donne tristi" (dove Salvatore è scritto con la S maiuscola) è una canzone che canti da un po' di anni e che è finalmente approdata su disco in "Canzoni per adulti", riporto qui alcuni versi per dare un'idea dell'originalità di scrittura "Dopo che le ha salvate che cosa ne rimane di donne abituate, abituate bene? Si apre la voragine appena un altro incontro scombussola l'immagine con un nuovo dolore. Allora il Salvatore diventa crocifisso, ché l'una e l'altra donna fanno da chiodo fisso, per togliere una pena un'altra si consuma: salvare e poi uccidere non è una cosa buona! Lo sa, lo sa e non lo nasconde, ma non sa come fare. La sua è una vocazione, una missione, un dovere, un impegno, un tormento, all'occasione pure un passatempo (...) Uno stuolo di vedove, di vedove bianche lo segue col pensiero e con la voce anche. Con lettere elettroniche, messaggi brevi e mesti. Povero Salvatore delle donne tristi". Mi sembra un buon inizio per parlare del tuo rapporto con il noir, dicci com'è nata, perché hai voluto usare questo stile particolare e soprattutto cosa trapela tra le righe della canzone.

L'aggirarsi come un ladro del protagonista a inizio canzone è dichiaratamente un dettaglio noir. L'uso della terza persona, del parlato, del presente indicativo invece dell'imperfetto, sono tutti strumenti del poliziesco, è vero. Il tema è "pacificamente" criminoso perché parla di un uomo che salva le donne tristi come soluzione al proprio primo impulso, che sarebbe quello di entrare in un bar per donne sole, travestito da uomo, e fare una strage di cuori confidando soprattutto sulla loro indifesa solitudine, sulla fragilità della femmina che a una certa età dovrebbe avere il sostegno di un uomo e se non è andata così, se non ce l'ha, vuol dire che là dietro da qualche parte ci sono ferite aperte, vulnerabilità da guarire, bisogni di cui sarebbe terribile approfittare. Dunque il potenziale "rubacuori" attirato dall'idea di sparare nel mucchio per fare incetta di facile selvaggina si tramuta in un più civile salvatore in virtù dell'assenza di tali bar e della sua capacità di frenare l'impulso originario trasformando la propria missione/passatempo in un gioco di salvazione anziché di sterminio. Il Salvatore è un convertito, un serial killer tramutato in infermiere delle derelitte che, nel tentato soccorso, alla fine ferisce ancora di più. Tutto a causa dell'esclusività, qualità infelice dell'amore umano che non permette i rapporti multipli e suggerisce invece che amore vero vi sia solo quando esso è esclusivo. Se lui ne salva una, ne deve lasciare un'altra. Salva una donna e uccide automaticamente l'altra. Non c'è soluzione, per questo è lui da compiangere, alla fine. Perché ha cercato di ritirarsi dal crimine, riciclandosi benefattore come il personaggio interpretato da Samuel Jackson in Pulp fiction, e invece finisce per essere solo uno sterminatore poco convinto.

Facciamo un salto indietro nel tempo, questa canzone può essere considerata il seguito ideale di un altro tuo splendido brano, "Landru", che è presente in "Archivio Postumia", canzone dedicata a un classico della criminologia di tutti i tempi. Com'è il tuo personalissimo Landru?

È, in effetti, il precursore del Salvatore. Un uomo che per questioni economiche, forse, si approccia a donne fragili, indebolite dall'assenza dei loro uomini spediti dalla nazione a morire in trincea nella Grande guerra, e le conquista usando la promessa di una relazione definitiva, l'impegno di un uomo che sarà l'ultimo a baciarle, la forma d'uomo più desiderabile perché destinato a restar loro accanto per il resto della loro vita. Ci penserà lui a far sì che la loro vita duri abbastanza poco da non doverle deludere, ma questo è secondario. Il mio Landru accarezza la loro illusione e la tiene viva fino alla (loro) morte, di cui si occuperà personalmente. Nella malevola sinuosità del sax baritono si caratterizza il pericolo che le donne corrono, andatura serpentina da tentazione nel Giardino dell'Eden. Landru è indubbiamente un conquistatore. Un benefattore, se l'amore è il bene della vita. Dona amore e poi toglie la vita. Nella canzone, come in qualunque tragedia che si rispetti, l'aspetto criminoso è lasciato fuori scena, è osceno. Racconto solo la seduzione, multipla, seriale, immutabile nella sua perfetta efficacia. L'assassino di cuori femminili trova facili prede nel loro bisogno di essere uccise da un solo, unico uomo. L'unico uomo per cui sarebbero volentieri morte. Ancora una volta è l'esclusività a uccidere, insieme al bisogno di uccidere la solitudine.

Sempre attingendo da quel tuo ormai "introvabile" disco, c'è un altro brano "Lolita", in cui lasci volutamente sottintendere più di quanto tu dica realmente, ne riporto integralmente il testo vista l'estrema ma folgorante sinteticità "Forse c'è un bambino in me / e forse è lui che ama te. / Ma se c'è un bambino in me / certo è lui che ama te (sempre se c'è). / Lolita / finisci la tua pasta al burro, mandala giù / Lolita / quel telefono è un po' troppo azzurro, mettilo giù / Se mi prometti, mi prometti che non lo farai più / Io ti prometto, ti prometto, non lo farò più.". Qui c'è più d'un motivo per aprire un'indagine o sbaglio?

Il tema è proprio quello dell'apertura dell'indagine, osservazione azzeccata. Non è detto che ci sia un crimine, è sottinteso come potrebbe esserlo l'incesto, e come certi, rarissimi casi di non incesto, potrebbe essere anche dubbio. Siamo davanti alla scena domestica in cui la piccola brandisce lo strumento sociale/giudiziario del Telefono azzurro per essere stata lasciata in pace dall'adulto. Non si dice se l'adulto è suo padre o un suo tutore, si dice però che l'adulto ne è responsabile e lo si evince dall'esortazione a finire la pasta al burro (evocazione Bertolucciana, quest'ultima al burro, ma anche Ciampiana, dunque allusione a una possibile lascivia come pure a una semplice questione di ristrettezze economiche). La pasta non è molto appetitosa, evidentemente, e qui si apre lo scenario ambiguo: la bambina minaccia di chiamare il Telefono azzurro e denunciare l'adulto per delle molestie vere o fasulle, probabilmente connesse al fatto che la pasta al burro non la vuole mangiare. Molestie vere o fasulle. Il motivo del contendere non sono le molestie, ma il maledetto piatto di pasta che la piccola non vuole mandar giù. La premessa (forse c'è un bambino in me, ecc.) ammette una comprensione amorosa tra adulto e bambina basata sul luogo comune che ciascuno di noi abbia un bambino in sé, luogo comune sconfessato dal fatto indiscutibile che nessuno di noi in verità è mai cresciuto e il bambino è ancora tutto ciò che siamo. È come se l'adulto dicesse, con l'ambiguità che attraversa tutta la canzone: "Ti desidero solo perché sono rimasto bambino, come te. Gioco con te per questo motivo". Oppure: "Ti voglio bene perché mi ricordo com'era dura anche per me quando avevo la tua età". L'uno è colpevole per il codice penale, l'altro no. Per la durata di tutta la canzone, e anche dopo, non sapremo la verità. Il dubbio è l'elemento veramente noir di questo brano. Il dubbio cui si troverebbe di fronte il giudice istruttore al momento di avviare l'indagine: la bambina non ha voglia di mangiare la pasta al burro e allora chiama il Telefono azzurro per esercitare potere sull'adulto, oppure l'adulto ha molestato più volte la bambina e cerca di patteggiare con lei una non denuncia con la promessa di non farlo più, se neanche lei lo minaccerà più? Un'istantanea con una ristrettezza di campo il cui allargamento lascerebbe intatta l'indecisione. Il tema è: come difendere il bambino da un adulto colpevole e come difendere l'adulto innocente dalle possibili ripicche di un bambino che poggia sulla legislazione per sottrarsi all'autorità dei grandi?

Torniamo a "Canzoni per adulti", c'è un'altra canzone "La donna col pugnale", del quale cito questo verso "Cedo al cuore di questa carezza / Al calore al profumo all'ebbrezza / Mentre affondo con delicatezza / La mia lama che taglia e che spezza", mi sembra che si stia consumando un vero e proprio dramma, cosa ci racconti in merito?

Qui il dramma è quello del dolore da amore soddisfatto/insoddisfatto, che è la stessa cosa. La passionalità che fa desiderare l'oggetto amato anche quando c'è, che consuma in una voracità inestinguibile sulla scorta di una colpa remota che nessuno dei due sa neutralizzare. Il pugnale ha due lame, non c'è impugnatura, chiunque dei due ferisca, ferisce anche se stesso. La passione che brucia in un futuro buio che si vorrebbe accendere senza speranza, perché l'amore è finito già al suo inizio e lo si vorrebbe tenere in rianimazione. Allora si colpisce a casaccio nel buio e ogni volta che si ferisce l'avversario/amante, si ferisce se stessi. Forse è l'unico caso di vera parità in amore. Parità nel male. Che si fa e che si subisce. L'anagramma è forma e contenuto: son due le lame, è due il male.

Un'ultima domanda, partendo da queste parole "le lamiere a brandelli / incontrando l'estate" tratte da "La scorta" brano del tuo ultimo disco, qui non siamo più nel campo della fantasia, siamo nella realtà: un'amara realtà lontana ma indelebile nella memoria. Il tema è l'attentato a Giovanni Falcone ma è svolto in maniera del tutto singolare, magistrale. Ci racconti come hai rielaborato questo delitto?

L'ho scritta sull'onda dell'emozione immediata. Una canzone pubblicata nel 2010 ma scritta nel maggio del 1992, "a botta calda". Mi sono immedesimato nel magistrato, un uomo sottoscorta, un uomo disincantato eppure idealista per elezione. Si misura ogni istante con la morte, così com'era per Falcone. "Se muoio adesso", è un pensiero costante, continuo che accompagna il protagonista. Non è ancora morto, ma si prefigura tutto, le lamiere a brandelli, i ricami di fumo, il "coro di fiori a tempo scaduto", ma non è ancora morto. Manda un saluto preventivo alla scorta, sua vera compagnia. Sogna di togliersi i giubbotti antiproiettile, indossare camicie di seta. La morte alla fine sarà un sollievo. Non venitemi a piangere dopo. Aiutatemi adesso, semmai. Non venitemi a piangere dopo, sembra voler dire. Non è una sorpresa, morire. Se lo aspetta da tanto, ci pensa ogni giorno. E' un appuntamento. Ma qui, paradossalmente, nell'episodio davvero criminoso trattato in canzone, con tanto di malavita organizzata e magistrato che salta in aria con moglie e scorta, la canzone non ha per niente un passo noir. È invece una lunga marcia funebre jazz, una cerimonia di addio a New Orleans, la conclusione di una tragedia attica in cui l'uomo Falcone diventa noi tutti al cospetto della morte. E resta uomo, anche se il suo corpo è sparito, polverizzato dall'esplosione, resta uomo in tutta la sua commovente integrità.